Month: March 2014

L’abito “sartoriale”

Ci siamo mai chiesti che cosa si intende per “sartoriale”? Se lo chiediamo a chi ha meno di 50 anni forse risponderà con un mix di “fatto bene, bello, su misura”. Tutto vero, ma non basta…almeno a me.

Negli ultimi 30 o 40 anni, la percezione comune del termine “sartoriale” è cambiata. Il passaggio, verso la metà degli anni 70 dall’haute couture al prêt à porter ha fatto si che pian piano si confondesse tale concetto con la “griffe”. Il binomio “firmato-bello” ha invaso il mercato della moda ed è riuscito in pochi anni a cambiare il pensiero del consumatore, fino al punto di farlo sentire bene solo se vestito “firmato”. Questo, a tutto vantaggio delle grandi case di moda che hanno potuto programmare in largo anticipo le loro produzioni, realizzando nel contempo enormi economie di scala, a scapito però, della qualità e dell’unicità dei prodotti; ma la cosa, forse più sorprendente è che questa epocale trasformazione è stata “venduta” come il miraggio che l’alta moda fosse accessibile a tutti, attraverso il prêt-à-porter.

confezioni

Sono così venuti a crollare, uno dopo l’altro, tutti i punti di riferimento legati alla tradizione sartoriale, fino al punto che oggi “avere” un sarto, significa quasi essere “snob” se mi passate il termine, mentre tornando indietro, nel passato dei nostri nonni, il sarto era l’unica risposta all’esigenza di “vestire”. E così, le “confezioni”, come si chiamavamo tanti anni fa, hanno finito ben presto per affiancare e poi soppiantare quasi del tutto la figura del sarto, e con lui un mondo pieno di fascino, che oggi non c’è più…

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Pian piano i marchi “cuciti” addosso ai vestiti hanno sostituito ed appiattito il concetto del “bel vestito, fatto bene, sartoriale”. Si sono iniziati a trascurare aspetti fondamentali degli abiti, quali il tessuto, il taglio, le cuciture, guardando semplicemente al marchio, con il quale sentirsi rassicurati, grazie al senso di omologazione/accettazione che “sfoggiarlo” porta con sè.

Oggi più che mai, il termine sartoriale appare “abusato”, dal momento che tutto è chiamato sartoriale, anche paradossalmente il prodotto realizzato dai “confezionisti”,…o almeno così ci fanno credere. Nel ricambio generazionale la cultura per il sarto è venuta meno; sono, infatti pochi i “maschietti” che, oggi conoscono le caratteristiche di un abito su misura, e sanno cogliere le abissali differenze  tra un abito confezionato ed uno “bespoke”. A ciò si aggiunga che, praticamente nessuno, acquistando un capo guarda l’etichetta interna, dove è indicata la composizione ed i materiali usati, e spesso si finisce per portare a casa bel “pacchetto” di poliammide, viscosa e, nel peggiore dei casi, nylon.

Questo accade poiché ci lasciamo guidare invece che guidare, ci lasciamo dire cosa indossare e cosa non indossare, cosa è “cool” e cosa non lo è, e spesso non ci accorgiamo che così diventiamo ogni giorno di più, tutti uguali…

Ora, capiamoci bene, questo non vuol dire che io non compri cose di marca, anzi, sarei un ipocrita se dicessi il contrario. Però lo faccio con la consapevolezza che esiste un’altro universo…quello del “bespoke“, del vestito fatto su misura, della “creatura” che non nasce in una catena di montaggio per tutti, ma solo per me! E’ quel mondo in cui il sarto, che mi riceve nella sua atelier o anche “bottega”, se vogliamo parlare semplice, cerca di capire cosa voglio, senza portarmi sulla sua strada, semplicemente seguendo le mie inclinazioni, sposandole con la sua maestria. 

Ma cos’è chi distingue un capo fatto “in serie” da uno “sartoriale”? Per rispondere ho contattato per voi uno dei più grandi interpreti della sartoria italiana contemporanea, fondatore di “Sciamàt” e di un nuovo modo di “fare abiti”. Il suo nome è Valentino Ricci, la sua storia e ciò che pensa sull’argomento lo potrete leggere presto in un articolo a lui dedicato…

Vi lascio con alcune foto che anticipano l’intervista a Valentino Ricci ed al suo “Sciamàt”

Stay “bespoke”!

Disegno del modello 1

Disegno a mano del modello

Segno del modello con gesso

Segno del modello con gesso

taglio a mano del tessuto

Taglio a mano del tessuto

Camicia “su misura” – introduzione filosofica –

Sarà capitato a tutti di farsi confezionare una camicia su misura, presi dalla voglia di indossare uno dei capi iconici per eccellenza del guardaroba maschile, perfettamente modellato sul proprio fisico. Personalmente sono “malato” di camicie, e suddivise tra armadi e cassetti, per la grande gioia di chi me le stira, avrò oltre 60 “esemplari”, comprendendo sia modelli “tailored” che “brandizzati“.

Su misura

“Tailored”

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“Brandizzate”

Affido da anni alla stessa camiceria il compito di realizzare per me, la compagna di tante belle serate; credo, infatti, che sia  soprattutto di sera che  la camicia diventi protagonista, quasi una seconda pelle, imprescindibile, ma anche rigorosamente “made for me“, più aperta, e magari  anche più “sbottonata”, insomma “più”. E così può succedere che la stessa camicia con cui la mattina abbiamo sostenuto un colloquio di lavoro, abbottonata, inamidata e perfettamente stirata (sudata direte voi?), si trasformi la sera in testimone delle alterne emozioni vissute durante il giorno, senza perdere mai di fascino anche quando, un po’ più stropicciata la destiniamo al cesto della biancheria sporca a fine giornata. Già, perché la camicia ha mille vite (forse meno con le lavatrici di oggi…), e una volta lavata e stirata diventa di nuovo pronta, come una pagina bianca, a scrivere un altro capitolo nella vita del fortunato proprietario.

Non immaginavate che una camicia fosse tutto questo? E allora, se nonostante questa introduzione nostalgica e forse un po’ filosofica al mondo delle camicie, siete abituati a sceglierle nei negozi, già belle chiuse dentro le loro buste, con il cartellino attaccato, potendo sceglierne solo la misura ed il colore, la vostra strada verso “la luce” è ancora lunga e non posso io, in questa sede, condurvi fino alla meta… Ma qual’è la meta? Beh, provate ad entrare in un laboratorio di camicie, respirare l’odore delle matasse di tessuto ancora senza nome, sceglietene il colore, la trama, la consistenza e lasciatevi “coccolare” dal vostro “sapiente” (si spera) artigiano, che trasformerà il tessuto, in qualcosa di unico, solo per voi.

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In  questo scenario, se è la prima volta che fate realizzare una camicia “su misura”, il camiciaio prenderà le vostre misure che riguardano, sinteticamente: collo, spalle, torace, vita, fondo, lunghezza anteriore e posteriore, giro e lunghezza maniche, polso. A questo punto, non vi rimarrà che scegliere il tipo di bottoni, il tipo di collo, il “font” per le iniziali ed il più è fatto. Aspettate una ventina di giorni (nel mio caso) di “gestazione” e sarete giunti…alla meta 😉

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Credo a questo punto di aver esaurito la vostra pazienza di lettori, per cui rimando a prossimi articoli la trattazione e la scoperta degli aspetti più tecnici legati a ciò che per molti è una banale camicia, ma per me rappresenta da sempre un mondo da scoprire in continua evoluzione…

While waiting for your comments I wish you good shirt 🙂