Ci siamo mai chiesti che cosa si intende per “sartoriale”? Se lo chiediamo a chi ha meno di 50 anni forse risponderà con un mix di “fatto bene, bello, su misura”. Tutto vero, ma non basta…almeno a me.
Negli ultimi 30 o 40 anni, la percezione comune del termine “sartoriale” è cambiata. Il passaggio, verso la metà degli anni 70 dall’haute couture al prêt à porter ha fatto si che pian piano si confondesse tale concetto con la “griffe”. Il binomio “firmato-bello” ha invaso il mercato della moda ed è riuscito in pochi anni a cambiare il pensiero del consumatore, fino al punto di farlo sentire bene solo se vestito “firmato”. Questo, a tutto vantaggio delle grandi case di moda che hanno potuto programmare in largo anticipo le loro produzioni, realizzando nel contempo enormi economie di scala, a scapito però, della qualità e dell’unicità dei prodotti; ma la cosa, forse più sorprendente è che questa epocale trasformazione è stata “venduta” come il miraggio che l’alta moda fosse accessibile a tutti, attraverso il prêt-à-porter.
Sono così venuti a crollare, uno dopo l’altro, tutti i punti di riferimento legati alla tradizione sartoriale, fino al punto che oggi “avere” un sarto, significa quasi essere “snob” se mi passate il termine, mentre tornando indietro, nel passato dei nostri nonni, il sarto era l’unica risposta all’esigenza di “vestire”. E così, le “confezioni”, come si chiamavamo tanti anni fa, hanno finito ben presto per affiancare e poi soppiantare quasi del tutto la figura del sarto, e con lui un mondo pieno di fascino, che oggi non c’è più…
Pian piano i marchi “cuciti” addosso ai vestiti hanno sostituito ed appiattito il concetto del “bel vestito, fatto bene, sartoriale”. Si sono iniziati a trascurare aspetti fondamentali degli abiti, quali il tessuto, il taglio, le cuciture, guardando semplicemente al marchio, con il quale sentirsi rassicurati, grazie al senso di omologazione/accettazione che “sfoggiarlo” porta con sè.
Oggi più che mai, il termine sartoriale appare “abusato”, dal momento che tutto è chiamato sartoriale, anche paradossalmente il prodotto realizzato dai “confezionisti”,…o almeno così ci fanno credere. Nel ricambio generazionale la cultura per il sarto è venuta meno; sono, infatti pochi i “maschietti” che, oggi conoscono le caratteristiche di un abito su misura, e sanno cogliere le abissali differenze tra un abito confezionato ed uno “bespoke”. A ciò si aggiunga che, praticamente nessuno, acquistando un capo guarda l’etichetta interna, dove è indicata la composizione ed i materiali usati, e spesso si finisce per portare a casa bel “pacchetto” di poliammide, viscosa e, nel peggiore dei casi, nylon.
Questo accade poiché ci lasciamo guidare invece che guidare, ci lasciamo dire cosa indossare e cosa non indossare, cosa è “cool” e cosa non lo è, e spesso non ci accorgiamo che così diventiamo ogni giorno di più, tutti uguali…
Ora, capiamoci bene, questo non vuol dire che io non compri cose di marca, anzi, sarei un ipocrita se dicessi il contrario. Però lo faccio con la consapevolezza che esiste un’altro universo…quello del “bespoke“, del vestito fatto su misura, della “creatura” che non nasce in una catena di montaggio per tutti, ma solo per me! E’ quel mondo in cui il sarto, che mi riceve nella sua atelier o anche “bottega”, se vogliamo parlare semplice, cerca di capire cosa voglio, senza portarmi sulla sua strada, semplicemente seguendo le mie inclinazioni, sposandole con la sua maestria.
Ma cos’è chi distingue un capo fatto “in serie” da uno “sartoriale”? Per rispondere ho contattato per voi uno dei più grandi interpreti della sartoria italiana contemporanea, fondatore di “Sciamàt” e di un nuovo modo di “fare abiti”. Il suo nome è Valentino Ricci, la sua storia e ciò che pensa sull’argomento lo potrete leggere presto in un articolo a lui dedicato…
Vi lascio con alcune foto che anticipano l’intervista a Valentino Ricci ed al suo “Sciamàt”…
Stay “bespoke”!

Disegno a mano del modello
Una mia amica quarantaseienne triestina è rimasta a dir poco sorpresa quando le ho detto che sono aduso indossare abitualmente la cravatta, mentre un’altra (più o meno della stessa età) riteneva molto elegante recarsi ad un matrimonio in jeans e giacca :3 Altro che disquisire sulla parola “sartoriale” qui mancano proprio i fondamentali >:o
Riguardo l’aspetto vissuto: sono contrario. I negozi straripano d’indumenti stile post-apocalittico (e non mi riferisco soltanto ai jeans), se vogliamo pure che la giacca s’ispiri ai film di Mad Max siamo proprio alla frutta 😥