Cari readers,
mi viene in mente un recente film che ho visto da poco, “La grande bellezza”, e non riesco a non pensare alla perfezione di uno smoking con i revers a lancia, alla manica “a mappina” di una giacca tagliata impeccabilmente, al volteggio segreto di una pochette che si affaccia da un taschino dell’acclamato protagonista Joe Gambardella, il personaggio che Tony Servillo interpreta nel film. Con le sue giacche colorate e la sua insolente eleganza, ha conquistato i dandy di tutto il mondo.



A mio modesto parere, tutto questo clamore intorno al personaggio, discutibile, ma senz’altro affascinante, non fa altro che avvicinare anche i più scettici al meraviglioso mondo del “su misura”. Ricordo, infatti che alcuni degli abiti indossati da Tony Servillo nel film sono stati per lui confezionati dalla Sartoria Attolini….quell’Attolini (Vincenzo) a cui si attribuisce la nascita della giacca “svuotata”, o a camicia, tratto distintivo della sartoria partenopea.
Pertanto, mosso dalla curiosità di approfondire l’immaginario percorso intrapreso nel precedente articolo, il focus oggi riguarda la parte alta della giacca napoletana, ossia il bavero ed il collo.
Il bavero (revers)
Il bavero della giacca ha un fascino incompreso. La moda, con qualche rara eccezione, lo vuole piccolo, stretto, quasi infinitesimale. La sartoria, per fortuna, lo fa largo, bello, adeguato al torace e alla personalità di chi lo indossa. Una volta un sarto disse: “Più il bavero è largo, più la giacca sembrerà stretta in vita”. Si riferiva all’effetto ottico per cui un bavero grande copre di più il davanti della giacca, facendolo sembrare più piccolo. Di norma, la sua larghezza dovrebbe essere proporzionata alla statura della persona. Dieci, undici o dodici sono i centimetri preferiti in sartoria, contro gli otto, i sette e a volte anche sei centimetri delle giacche di confezione.

Il bavero “a lancia”, tipico del doppiopetto, è più formale, ma può anche dare un tocco di stile ad un semplice abito mono petto. Tradizionale, “a lancia” o “a scialle” che sia, la magia del revers sartoriale sta nel suo disegno a mano sul cartamodello. Il risultato è una “pancia” o una punta ogni volta diverse. C’è chi lo fa più pesante, mettendo all’interno tela, crine di cavallo e pelo cammello, come da tradizione nella sartoria milanese; c’è chi lo fa leggero, come a Napoli, inserendo solo uno strato di tela da 150 grammi; c’è chi, infine, non mette nemeno la tela all’interno, preferendo il cotone. Un consiglio: per avere conferma che un bavero è sartoriale, bisogna guardare al di sotto. Si troverà una nuvola di punti con la funzione di fermare il tessuto sulla tela.

Il collo
Tratto distintivo della giacca, inoltre, è il collo. La sartoria napoletana lo preferisce alto, mentre le scuole sartoriali nordiche sono più inclini a farlo basso. E’ una zona particolarmente delicata della giacca, perché è lì che l’occhio esperto cade per vedere se il capo ha una buona vestibilità; infatti una regola unanimemente approvata in questo campo è sicuramente quella per cui il collo della giacca non deve “scollare”: la giacca, quando è abbottonata, deve stare attaccata al colletto della camicia, specialmente sul dietro, nonostante i movimenti. Questi ed altri dettagli fanno la differenza tra un capo solo “costoso” e un capo “fatto bene”.
Il “cran”
Il “cran”, termine che oscilla tra il cacofonico e lo sconosciuto. Divenuto celebre a Napoli con il più affabile nome di “sgarzillo”, è quell’angolo che si crea tra il collo e il bavero; normalmente ha un’ampiezza inferiore a 90° ed è detto “a bocca di pesce”, molto comune sia in sartoria che nelle giacche di confezione. La celebre sartoria bitontina Sciamát ha registrato, invece, un cran a 90°, rendendo riconoscibili a distanza le sue rivoluzionarie giacche. La maggiore ampiezza è frutto di un bavero molto generoso che, andando quasi a sfiorare la spalla crea inevitabilmente un angolo retto tra collo e bavero stesso.

Cran a 90°

Cran a “bocca di pesce”

Cran brevettato dalla sartoria “Sciamàt”
Alla prossima!
Aboutaman


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