buone maniere

John Lobb…fiercely expensive

Acquistata dal Gruppo Hermès nel 1976, la Maison JohnLobb ha il suo atelier in Rue Du Faubourg Saint-Antoine a Parigi. Dopo l’acquisto si iniziò il pronto in taglia in Inghilterra, lasciando il solo “bespoke” nella capitale francese. Come per un abito di sartoria, anche per le scarpe sono necessarie cinquanta ore lavorative per la produzione, che salgono a settanta per uno stivale complesso. Tutti i modelli passano nelle mani di esperti artigiani per realizzare modelli unici nel loro genere per soddisfare i sogni dei loro clienti.

images (1)Il fondatore, John Lobb, nacque nel 1829 a Tywardreath in Cornovaglia da una famiglia di umili origini. Nel 1863 ricevette il Royal Warrant, divenendo il fornitore ufficiale di calzature del principe Edoardo. L’azienda conserva ancora questa onorificenza vestendo la regina Elisabetta, il duca di Edimburgo e il principe di Galles. Il negozio, aperto nel 1849 in St. James Street, divenne in poco tempo luogo di incontro di attori teatrali, cantanti d’opera, politici, scrittori e uomini d’affari (tra cui Ernico Caruso, Bernard Oppenhaimer, Guglielmo Marconi e Joseph Pulitzer).

I metodi tradizionali del suo artigianato le hanno fatto acquisire nel tempo un ricco patrimonio, che tuttora conserva. Ora è accessibile a un pubblico internazionale più grande: la compagnia mantiene la tradizione di produrre a mano scarpe su ordinazione e su misura a Parigi, conservando così le sue origini, mentre produce scarpe pronte da indossare (non su misura) per la maggioranza dei compratori.

Tutto è fatto a mano e guai a parlare di lavorazione goodyear!: da john lobb anche le suole sono cucite a mano, senza l’ausilio di macchinari. L’età degli artigiani varia dai 20 ai 60 anni.

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Il vasto ventaglio di pellami fa sì che il cliente possa sbizzarrirsi nella scelta del cuoio, che sia esso pelli bovine o camosci, strettamente selezionati, o altri tipi di pelli più esotiche, come il coccodrillo. Anche i colori variano secondo le scelte personali del cliente: per le scarpe di cuoio classico si opta per colori più per i grandi classici, quali il “Deep Blue”, un blu molto scuro che tende verso il nero,il “Gold”, un marrone molto brillante, e il nero classico. Per coloro che scelgono invece le pelli esotiche, si possono realizzare scarpe con colori più eccentrici, come il verde o il giallo.

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Sebbene non mi piace parlare di prezzi, mi scuso per la mancanza di eleganza ma, in questo caso è quasi dovuta. Infatti, la cifra (iniziale :-)) per un paio di scarpe “Made to Measure” è di circa 4.000 euro.

Alla prossima!

Aboutaman

Ph. credit: thebespokedudes

 

Tra noi e la pioggia…Francesco Maglia

Cari readers,

l’autunno di avvicina e torna, inevitabilmente alla mente un accessorio che, a seconda degli eventi climatici può fare la differenza tra una bella ed una brutta giornata…sto parlando dell’ombrello 🙂 Ovviamente non voglio spiegarvi a cosa serve, eppure in pochi sapranno che l’ombrello, come dice la parola stessa (ombra) nasce non tanto per proteggersi dalla pioggia, quanto dal sole. Infatti la storia narra che nel 1176 il doge di Venezia chiese al papa Alessandro III il permesso di apparire in pubblico protetto da un ombrello appositamente creato. Verso la fine del Settecento in Francia, il parasole era già diventato un oggetto di uso comune, ma solo nell’Ottocento, fino ai primi anni del Novecento il parasole raggiunse in Francia e in Italia una grande fortuna. Molti dipinti dell`epoca ritraggono donne e ragazze con il loro ombrellino, il grazioso accessorio che sottolineava l`eleganza dell`abito. Tale usanza, oggi resiste solamente in oriente, mentre in Occidente, l`ombrello viene esclusivamente usato quando piove.

Francesco Maglia ombrelli

Francesco_Maglia_Umbrella_Finaest_2Parlando di ombrelli, uno dei simboli dell’Italia che porta alto nel mondo il “made in Italy”, ha la faccia di un bambino arguto nonostante i 195 centimetri di altezza e i capelli bianchi…il suo nome è Francesco Maglia, ed è l’ultimo ombrellaio artigiano d’Italia, il quinto Francesco che dopo 160 anni, insieme al fratello Giorgio, fa ancora gli ombrelli nell’azienda di famiglia, a Milano.

Storia: L’avo Francesco Maglia iniziò l’attività quale apprendista ombrellaio nel 1850 in una fabbrica di ombrelli a Montechiari (BS) all’età di 14 anni.L’origine della Famiglia è della Valganna, il nonno ed il padre del fondatore erano carbonai e taglialegna.Nel 1854, all’età di 18 anni, Francesco Maglia entrò come socio in una piccola fabbrica di ombrelli a Verolanuova (BS), successivamente trasferitosi a Pavia avviò l’attività in conto proprio.mNel 1876 la ditta si trasferì a Milano in Corso Genova 7, dove è rimasta fino al 2003, anno in cui si trasferisce in via Ripamonti 194. I Maglia hanno sempre fabbricato ombrelli e cappelli di paglia, la lavorazione dei cappelli è cessata nel 1923.

Il segreto di questa tradizione sta nei materiali, poiché per creare un ombrello tutto a mano si parte dal bastone da passeggio, rigorosamente intero, e sono necessari 70 passaggi che iniziano scegliendo bene il legno tra malacca, frassino, olivo, castagno con e senza buccia, nodoso bambù e nocciolo. Successivamente vengono fissate due molle, una doppia noce in alto e una “canola”. A questi pezzi si uniscono  8 /10 “balene” o stecche in acciaio, quindi si passa al tessuto, che ormai non è più seta, ma poliestere più cotone, che viene tessuto a mano.

Hunting-collectionLa copertura può essere a pois, regimental, tinta unita, righe, principe di Galles e jacquard, mai stampati. Ultima fase, la scelta dell’impugnatura, applicata sul bastone: pelli pregiate cucite a mano, in colori diversi, ma anche corna, parte di palchi di cervo e montone, radici contorte ad arte dalla natura e perfino esotici denti di facocero. Tutto termina con la stiratura a vapore, a ombrello aperto.

Ogni fase della produzione è compiuta presso la sede Maglia “vecchia Milano” in via Ripamonti  dove, attraverso una raffinata esecuzione, si crea l’ombrello su misura. Ogni anno ne vengono prodotti “solamente” 15mila lunghi e 5mila telescopici, di cui il 90 per cento è destinato all’estero, su ordinazione di  negozi leggendari come James Smith & Sons umbrellas di Londra, di noti department store in America e Giappone  e  di grandi firme dello stile. Per l’Italia poche sartorie e boutique hanno la fortuna di commercializzare questi veri e propri “manufatti” che, aggiungerei, è quasi un peccato vedere bagnati con la pioggia 🙂

Alla prossima

Aboutaman

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The season change of clothes … all garbage?

Due volte l’anno siamo alle prese con l’ormai noto rituale del “cambio di stagione”  e la domanda, che sia primavera o autunno, è sempre la stessa…ma come ho fatto lo scorso anno a mettere questo pantalone o questa giacca? E’ larga, lunga…insomma è strana fino al punto da non sembrare più la stessa che ci ha fatto battere il cuore quando l’abbiamo acquistata…. Ma come mai accade questo? La risposta appare più semplice di quanto si pensi. Mentre i nostri preziosi e costosi capi sono rimasti chiusi nell’armadio per un’intera stagione, il mondo è andato avanti! Nuove mode, nuovi colori, nuove tendenze di stagione si sono pian piano affermate e poi impadronite della nostra mente, come un virus silenzioso, impercettibile, che al momento giusto viene fuori prepotentemente e ci formatta tutto il sistema, rappresentato, in questo caso dal guardaroba, o meglio della percezione che abbiamo di “lui”.

E’ evidente che in tempi di crisi questo ragionamento è positivo perché fa muovere l’economia in un senso o nell’altro facendo si che si vadano a riempire virtualmente e non solo due grandi contenitori, uno destinato al sarto, per le modifiche “di attualizzazione” ed uno alla dismissione…In entrambi i casi ci sembrerà di essere rimasti nudi, perché nulla ci apparirà attuale ed “indossabile”…signori il virus ha colpito di nuovo 😉

Come rimediare? Prima opzione, se abbiamo una di quelle carte di credito a disponibilità illimitata possiamo contattare un personal shopper e chiedere il miracolo di rinnovare per noi il guardaroba, ma capisco che questa opzione è selezionabile da pochi. A tutti gli altri  consiglio di selezionare i capi dividendoli per anzianità, prendendo e mettendo da una parte quelli che non abbiamo indossato neanche la scorsa stagione, poiché è con ragionevole certezza non li indosseremo neanche quest’anno. Dopo questa prima ma fondamentale scrematura, vediamo cosa rimane per poi selezionare cosa è recuperabile e cosa no. In particolare il consiglio è quello di provare a far adattare alle tendenze attuali i capi di maggior valore e pregio a livello non sono di prezzo ma di tessuto o magari quelli a cui siamo più affezionati. Per questa operazione di adattamento/attualizzazione ci vuole il sarto, che in questo periodo diventerà il nostro migliore amico 🙂 Tutto il resto del guardaroba vi consiglio di regalarlo o, se avete una soffitta, di riporlo in quel baule che i vostri figli tra venti o trent’anni apriranno trovando tutto di grande attualità  🙂

Il capo che è spesso oggetto dei maggiori “aggiornamenti” in fase di cambio di stagione è il pantalone. E così dopo averlo stretto “a dovere” (ne abbiamo parlato qui altrettanto importante è anche capire come e quando fare il risvolto del fondo, 

Ci sono regole al riguardo? Va fatto sempre? Se si quanto alto? Tutte domande legittime, ma che purtroppo non hanno una risposta univoca, poiché ancora una volta dipende da alcune variabili imprescindibili che devono essere analizzate per dare la corretta risposta.

Il risvolto ha la sua origine, storica o mitica che sia, nel gesto di arrotolare i pantaloni per salvarli dagli schizzi di fango. Fino agli anni ’30 molti uomini portavano i pantaloni risvoltati sensibilmente più corti, in modo che dessero l’impressione di essere stati arrotolati lì per lì. Dunque il risvolto nasce in campagna e con uno spirito disinvolto, in cui la praticità prevale sul protocollo. È per questo motivo, non per qualche odioso comandamento, che in alcune condizioni è meglio evitarlo. Detto questo l’unico divieto nel fare il risvolto ci viene proprio in quelle occasioni assolutamente formali che invece farebbero pensare il contrario. Infatti il risvolto è assolutamente da evitare nel frac, tight e smoking.

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In tutti gli altri casi il risvolto non è vietato, pertanto se piace si può sempre fare. Però la seconda domanda che ci poniamo è, quanto alto lo si deve fare? Beh diciamo che mentre gli amanti delle buone maniere ed i più rispettabili manuali di sartoria parlano di’ “altezza aurea” che non dovrebbe superare i classici 2,5 cm, c’è poi tutta una serie di altrettanti esperti e sostenitori del mondo “bespoke” che lo preferiscono di un generoso 4 cm. E quindi? Confusione? Non proprio…

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Vero è che non esiste una regola precisa  e quindi la scelta deve necessariamente valutare la figura, ossia la corporatura: un uomo non troppo alto dovrebbe evitare il risvolto superiore ai 2,5 cm perché tenderà ad accorciare la gamba. Inoltre si dovrebbe optare per un pantalone taglio slim, portato corto, così da compensare l’ effetto del risvolto. Inoltre il risvolto è sempre consigliabile quando si vuole dare al proprio outift un aspetto casual, come nel caso dell’abbinamento con una giacca sportiva. Abbiamo detto però che il risvolto accorcia la gamba, quindi attenzione, poiché un uomo di media altezza viene penalizzato dal risvolto, laddove una gamba lunga e stretta appare valorizzata, potendo in quest’ultimo caso anche arrivare ad un’altezza di 4,5/5,0 cm.

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Infine una tendenza che si sta affermando negli ultimi tempi è che anche il jeans possa essere portato con risvolto, sia fatto ” a macchina” ma sopratutto “arrotolato” a mano, donando allo stesso una peculiarità unica che non vi farà passare inosservati 😉

Buon cambio di stagione 😉

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Aboutaman

La sartoria napoletana diventa “Giuliva”

 

MostreL’occasione era la mostra dei cento pittori che due volte l’anno viene organizzata dall’omonima associazione nella pittoresca ed unica cornice romana di via Margutta. Giornata soleggiata e mite, capace a mettere chiunque di buon umore nel sottomesso brusio di una tarda mattinata di inizio maggio. Se già questo sarebbe bastato per incorniciare la giornata tra i ricordi più piacevoli, a me è capitato di più, molto di più.

Il cancello del civico 53b schiude al suo interno, sulla destra il sogno di ogni cultore del bel vestire, a cui due amici e profondi conoscitori delle buone maniere hanno dato il nome di “Giuliva“. Così hanno voluto chiamare la loro Sartoria, che definire tale è assolutamente restrittivo. Un salotto, di quelli buoni, in cui forse una volta avremmo trovato a conversare Oscar Wilde o Lord Brummell, intenti a disquisire su quel mondo che si può sintetizzare in “bespoke“, ossia “su misura”, lontano anni luce dalle confezioni e da tutto ciò che è fatto “in serie”.

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Mi accoglie Vittorio, uno dei due fondatori, con un sorriso contagioso e quell’aria di “amico da sempre” che oggi è sempre più raro trovare, soprattutto in certi ambienti. Poco dopo, scende dal secondo piano Gerardo, affascinante avvocato, che insieme al suo amico, prima che socio, ha voluto dare concretezza ad un progetto maturato in anni di passione e dedizione.

Ancorché originari di Salerno, Vittorio vive a Roma, mentre Gerardo fa “il pendolare” tra Roma e Napoli, dove esercita anche la professione forense, ed è a Napoli che si trova il laboratorio dove vengono realizzati materialmente gli abiti, nel rispetto della tradizione e con la maestria che ha reso famosa la sartoria napoletana nel mondo. 

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Da subito mi hanno aperto le porte della loro sartoria, invitandomi nel salottino, vero concept posto al secondo piano, dove il dialogo diventa ricco di aneddoti ed esperienze vissute, e dove Vittorio e Gerardo trasmettono il loro sapere come farebbe un vero amico, senza presunzione o arroganza, ma con parole che nascono dalla passione di chi ha fatto della sartoria, una ragione di vita.

Scendendo al primo piano troviamo la zona ready-to-wear, dove è possibile scegliere i tessuti, spaziando da Drapers e Dormeuil ad Holland & Sherry, senza tralasciare Loro Piana, e dove si prendono le misure del cliente, rigorosamente senza cartamodello, ci tiene a precisare Gerardo, ed è quindi il luogo deputato alla vera e propria consulenza e conoscenza, affinché ogni creazione sia unica e differente, riuscendo nel contempo a soddisfare al meglio le aspettative del cliente.

La prima domanda che mi è venuta in mente è stata proprio quella che non ho fatto, perché dal modo di raccontarsi, seppur brevemente, ho capito che per Vittorio e Gerardo è uno stile di vita, prima ancora che un lavoro e, pertanto il temine “Giuliva” non può che rappresentare il modo di affrontare la vita, con stile, eleganza ma anche leggerezza.

Da amante della sartoria napoletana ho ritrovato nella Sartoria Giuliva, tutti gli elementi che caratterizzano lo stile partenopeo. Giacche dal “cran” molto aperto (anche se dovrei dire sgarzillo come lo chiamano a Napoli), revers mai sotto i 10 cm, collo alto, e giromanica a camicia sono solo alcuni dei tratti distintivi della sartoria napoletana che oggi trova in Vittorio e Gerardo un indirizzo romano di riferimento.

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Via Margutta 53b è il luogo dove il passato rivive nella passione della vera sartoria di un tempo, lontana anni luce dal mondo dell’omologazione e nello stesso tempo profondamente legata allo stile attualizzato ma sempre unico, che solo un capo fatto “su misura” saprà regalarvi.

Alla prossima

Aboutaman

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Assigning seats at the table

La primavera è la stagione che per molti versi amo di più. E con lei, insieme al clima mite ed alle giornate più lunghe tornano anche gli inviti, e le cerimonie in genere, che spaziano dalla comunione della cuginetta, al matrimonio dell’ultimo amico rimasto scapolo (te l’avevo detto che prima o poi… 🙂 ) o più semplicemente alla prima cena con gli amici sulla terrazza del nostro nuovo attico! Non avete la terrazza e neanche l’attico? Non ci credo.. 😉

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E così, a volte invitati, altre organizzatori ci si ritrova a porsi le solite domande su quali siano i comportamenti e le regole da tenere per essere dei perfetti padroni di casa o, a seconda dei ruoli, degli invitati modello! In questo secondo caso basterà farci guidare, nella speranza che chi invita sia informato sulle regole del bon ton e sui modi dell’accoglienza, appuntandoci, in caso contrario tutte le cadute di stile, per farne tesoro quando saremo noi sulla graticola del giudizio altrui.

Non si tratta di dogmi rigidi ed imprescindibili ma di semplici regole pratiche che però, se non seguite, rischiano di creare situazioni imbarazzanti, e nel minore dei casi di lasciare che piccoli gruppetti di commensali la facciamo da padroni a tavola, relegando i meno “introdotti” della compagnia a finte risate di compiacimento, rifugiandosi subito dopo nel proprio smartphone in cerca di supporto psicologico.

Assunto iniziale è che la riuscita di una colazione o di un pranzo non dipenda solo dalla bontà della cucina ma soprattutto dagli ospiti che inviteremo.

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Compito primario dei padroni di casa sarà quello di estendere inviti a persone tra loro compatibili (sopportabili per capirci 😉 ) accertandosi che tra loro non esistano inimicizie. Anche se in questa fase potrebbe venirci in aiuto il tanto odiato ed amato Facebook, ricorrere ai vecchi ed antichi metodi della telefonata o del passaparola mi sembra più appropriato. La scelta di chi invitare è fondamentale tanto quanto la disposizione degli ospiti a tavola, perché è dalla capacità di mescolare bene le carte (gli invitati) che si riconosce un bravo giocatore 😉

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Una volta deciso chi è dentro e chi è fuori (un pò alla Briatore 🙂 ) un ottimo padrone di casa avrà il compito di preoccuparsi di “chi siede dove”. Titoli nobiliari, primogeniture, parentele, anzianità , capelli canuti, cariche militari e religiose duellano e si scontrano per un solo obiettivo, il diritto di precedenza per la conquista del posto d’onore su un campo di battaglia appetibile ed appetitoso: la tavola!

images (7)Un posto sbagliato può compromettere anche l’intero evento e le vostre fatiche, per la buona riuscita potrebbero risultare vane ed ingloriose. Con l’assegnazione dei posti si eviteranno domande imbarazzanti della serie: “ma dove mi devo sedere” oppure “posso sedermi ad un altro posto”. Si eviterà tutto questo con poche parole: “il tuo posto è questo”. Ed anche se il vostro vicino avrà un alito insopportabile, o è noioso e pesante come l’uranio impoverito, vi toccherà stare al vostro posto, soffrendo in certosino silenzio. Mai per nessun motivo si dovrà reclamare un posto differente poiché sconvolgereste l’assetto deciso dai padroni di casa e le regole di galateo che sono state applicate per la formazione della tavola.

E veniamo alle regole che a prima lettura possono sembrare difficili, noiose e fuori moda, ma che se seguite ci porteranno sicuri e vincenti alla meta, come un treno sul binario!

download (3)Anche se non ne ho la paternità, cerchiamo di dare qualche punto elenco:

  1. I padroni di casa siedono a capotavola. L’uomo darà le spalle alla porta. La donna, in mancanza di personale di servizio, siederà al posto più vicino alla cucina.
  2. La padrona di casa avrà alla sua destra l’ospite maschio di riguardo ed alla sinistra il secondo uomo per importanza.
  3. Il padrone di casa avrà alla sua destra l’ospite donna più importante ed alla sua sinistra la seconda donna per importanza.
  4. Se il/la padrone/a di casa sono celibi, all’altro capo siederà la persona di sesso opposto che si intende onorare.
  5. Alternanza dei sessi a tavola, (uomo-donna-uomo- donna). Allontanare le coppie e non farle sedere una di fronte all’altra. Se gli invitati non sono in numero pari o c’è disparità con preponderanza ad esempio di uomini, evitiamo che si creino dei gruppi di “lavoro” o “politica” o “sport”, cerchiamo di assegnare i posti in modo che la conversazione non si fossilizzi su un solo argomento che potrebbe interessare molti, ma non a tutti.
  6. L’importanza dell’ospite può essere dettata da diverse motivazioni, ma a parità di condizioni e rango sociale prevale la regola dell’anzianità.
  7. Non fare sedere vicino persone che non hanno simpatia tra di loro (l’invito potrebbe trasformarsi in una serata senza fine) e se c’è uno straniero fatelo sedere accanto a qualcuno che parli la sua lingua; evitate di far sedere accanto persone che si conoscono già da tempo poiché finirebbero per dialogare tra di loro tutto il tempo, quindi allontanate amici intimi ed eventuali colleghi di lavoro.
  8. Se c’e’ un cardinale, un vescovo, o un appartenente al clero, occuperà il posto d’onore alla destra della padrona di casa; entrerà per primo nella sala da pranzo a fianco della padrona di casa, verrà servito prima delle signore presenti.

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Se avete un tavolo che ve lo consenta vale sempre la regola che i padroni di casa si siederanno a capotavola. La padrona di casa, in mancanza di camerieri, al lato più vicino alla cucina.

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In questo caso solo uno dei padroni di casa siederà a capotavola. La tradizione anglosassone assegna tale onore all’uomo, quella latina alla donna. Di fronte al padrone di casa siederà l’ospite di maggior riguardo dello stesso sesso che a sua volta avrà alla sua sinistra l’altro padrone di casa.

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Una volta assegnati i posti le signore possono accomodarsi subito mentre è fondamentale che i signori attendano che si sia seduta la padrona di casa. Inoltre compito dei padroni di casa è sempre quello di moderare la conversazione, chiudendo eventuali dialoghi troppo personali e lanciandone di nuovi in caso di imbarazzanti silenzi.

Consiglio per le signore: via le borse della tavola! Sarà compito della padrona di casa indicare un luogo dove poterle lasciare.

Consiglio per tutti: i cellulari lasciamoli in modalità silence nella giacca o nella borsa, poiché non c’è cosa peggiore a tavola che disturbare gli altri con telefonate e messaggini vari. E poi a dispetto del nome, se per un’oretta non saremo “social”  forse potremo fare due chiacchiere reali in un mondo ormai così “virtuale” 😉

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Dimenticavo…i segnaposti sono da usare obbligatoriamente solo nel caso in cui i commensali siano più di dieci. Sul segnaposto vanno indicati nomi, cognomi e gli eventuali titoli solo nel caso in cui si tratti di una cena formale, altrimenti basta il nome, ma mi raccomando, scrivetelo a penna non al pc! La disposizione dei posti segue regole tanto più precise quanto più formale è l’occasione. Negli altri casi l’assegnazione del posto viene fatta a l momento dalla padrona di casa.

Infine non dimentichiamo che la tavola non è solo cibo ma soprattutto persone, per cui è importante creare le giuste condizioni per il successo dell’evento, tanto nella fase degli inviti che in quella degli “accoppiamenti” tra commensali 😉

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Prossimamente parleremo anche di come apparecchiare la tavola ed usare correttamente la posata a nostra disposizione.

Stay hungry!

Aboutaman

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